Capitolo 1 – Il Colloquio

Capitolo I – Il Colloquio

Stava frugando nell’armadio ormai da più di venti minuti: magliette, calzini, jeans e mutande erano sparpagliati per la stanza come se ci fosse appena stata un’esplosione nucleare. Era un bel pomeriggio d’Ottobre, le giornate erano ancora miti, un tiepido sole faceva capolino dalla finestra. In fine, eccola lì, tirar via la testa dall’armadio, con i capelli tutti arruffati e l’aria imbronciata. Anna era una ragazza disordinata, senza alcun dubbio, e lo riconosceva lei stessa, ma nel suo disordine, di solito, riusciva sempre a trovare le cose che cercava. Si sistemò i capelli, una bella massa castana lucente, con riflessi ramati, poi disse tra sè “Dove diamine l’ho messo?“. Svuotò ancora due cassetti senza ottenere alcun risultato quando, alla fine, ebbe come una folgorazione e tutto fu chiaro. Corse dall’altra parte della stanza, all’armadio del suo compagno, Alessandro. Erano i classici due opposti che si attraggono: lei un vulcano di idee, irrequieta e folle, sempre appassionata a qualcosa, disordinatissima e impulsiva; lui calmo e pacato, sempre con la schiena bella dritta e quei modi di fare gentili ma autoritari, impeccabile con i suoi completi sempre stirati, i capelli perfettamente in ordine e quel sorriso disarmante e sincero che l’aveva fatta innamorare. Vivevano assieme ormai da circa due anni e tutto filava incredibilmente liscio.

Ricordò di avergli affidato il suo tailleur per le grandi occasioni. “Conservalo tu” gli aveva detto “Se lo tieni nel tuo armadio di sicuro rimarrà pulito e stirato, nel mio sarò fortunata se lo ritrovo” aveva aggiunto. Lui aveva riso e aveva scosso la testa in segno di rimprovero e poi, aveva preso in consegna il tailleur della sua fidanzata. Anna riuscì dunque a recuperare ciò che stava cercando. Sollevò il completo gonna e giacca in alto, per poterlo osservare con attenzione. L’ultima volta, lo aveva indossato per la sua Laurea, circa sei mesi prima e, nel frattempo, era ingrassata, ancora. Fece una smorfia, una morsa le prese lo stomaco, la paura che non le entrasse più la paralizzò, era l’unica cosa che aveva da mettere per l’importante colloquio di lavoro che si sarebbe tenuto da lì a due ore. Era la sua occasione e non voleva sprecarla per nessuna ragione al mondo. In quell’era di crisi economica, dopo la sua brillante Laurea in psicologia del lavoro, aveva avuto non poche difficoltà ad essere anche solo presa in considerazione per un colloquio presso una grande azienda ma, alla fine, ce l’aveva fatta. Il posto per il quale si candidava era all’interno del dipartimento risorse umane, non si liberava spesso un posto del genere.

Provò il tailleur, preoccupata. “Entrami, entrami, entrami, entrami, entrami!” Mugolava, tra sè. Il tailleur, miracolosamente, obbedì. Certo, era alquanto stretto e il bottoncino della gonna dava chiari segni di cedimento, ma lei tirò la pancia in dentro  e corse alla ricerca del body contenitivo. Anna non era mai stata magrolina, dall’età di quindici anni aveva iniziato a sentirsi diversa dalle altre sue coetanee: lei era quella più pienotta, l’amica fidata, l’amica bruttina, non la bella ragazza a cui tutti vanno dietro. Un giorno però, aveva incontrato un ragazzo di nome Alessandro che aveva visto molto più di qualche rotolino di ciccia in lei, e l’aveva amata, da subito, incondizionatamente, adorando ogni centimetro del suo corpo. Erano stati insieme per cinque anni e poi avevano deciso di prendere un appartamento e andare a convivere. Nel frattempo, anno dopo anno, Anna metteva sù un kilo dopo l’altro. Proprio non riusciva a fermarsi! Di sicuro contribuivano gli studi universitari, che la costringevano ad ore ed ore di immobilità, ma anche il fatto di essersi, in un certo senso, sistemata, la faceva sentire al sicuro, e aveva fatto sì che si lasciasse un pò andare.

Anna era arrivata a non piacersi più da un pò. Ma non ne aveva fatto parola con nessuno. Il suo obiettivo, adesso, era trovare un buon lavoro. Così, indossò la giacca che, “ahi!” tirava sulle maniche all’altezza delle braccia, – niente di grave, doveva solo ricordarsi di non alzarle, – e imboccò la via per la metro. Ora doveva scrollarsi di dosso ogni sorta di negatività e qualsivoglia pippa sul suo stato fisico, e doveva concentrarsi su quel colloquio, la grande occasione della sua vita. Giunta alla giusta fermata ricontrollò l’indirizzo e guardò l’ora. Pochi passi e si ritrovò dinanzi l’imponente edificio a vetri dell’azienda. Chiuse gli occhi, inspirò forte, strinse i pugni, sudati, poi si ricompose ed entrò con passo sicuro.

Nella sala d’aspetto notò subito due stangone con le gambe lunghissime, un vitino da vespa e l’aria di chi sa che con la propria bellezza può ottenere tutto ciò che vuole. Una in particolare era quasi ipnotizzante, indossava un abitino grigio molto corto che però, su di lei, non appariva volgare, calze nere e tacchi molto alti. Aveva un viso piccolo e ovale dai lineamenti molto delicati, i capelli biondi, le labbra carnose… E poi aveva quella luce. Quella luce negli occhi che Anna sapeva non avrebbe mai avuto. La luce dell’autostima, della sicurezza, la consapevolezza che in quella stanza non ci fosse nessuno migliore di lei, nemmeno l’altra stangona. Quella luce negli occhi già bastava da sola a far girare tutti per guardare nella sua direzione. Era un esemplare da corsa, una tosta. Nessuno avrebbe avuto quel posto se non lei.

Anna sapeva di non avere alcuna speranza. Si arrabbiò con il destino che le aveva fatto incrociare una così sul suo cammino. Era proprio sfortunata, si disse, ovunque andasse, c’era sempre una così, una inarrivabile, una che attirava le attenzioni di tutti, che avrebbe potuto far fare agli uomini tutto quello che voleva. Poi si chiese se la colpa fosse realmente del destino e se il ricondurre tutti i suoi fallimenti alla stangona di turno non fosse solo un modo per sentirsi meglio e non farsi altre domande. Chissà, magari era lei a sbagliare qualcosa, forse urgeva un bell’esame di coscienza per iniziare a lavorare su sè stessa. Scacciò subito tali pensieri. Poteva lavorare su sè stessa quanto le pareva, ma finchè si fosse trovata davanti una così, a concorrere per la stessa posizione, non avrebbe mai avuto speranze. Le apparenze contano, si ripeteva Anna, contano eccome!

Eppure, in occasione di quel colloquio, aveva passato tutto il pomeriggio a “farsi bella”: aveva tirato via tutti i peli da gambe e braccia (manco avesse un appuntamento galante), aveva indossato il tailleur della laurea (dopo averlo finalmente trovato), aveva stirato i capelli per bene, osservando il suo sguardo emozionato e spaventato allo specchio. Non aveva mai lavorato in una vera azienda, per lo meno non una che non fosse un call center con sette dipendenti… Aveva studiato un make up non troppo pesante, che però mettesse in risalto gli occhi e le facesse sembrare il viso meno tondo e si era fatta, la sera prima, una french manicure, mentre guardava la tv. Aveva poi indossato il suo sorriso migliore, quello della ragazza paffuta si, ma sicura di sè e anche umile. Ma ora cominciava a sentirsi una perfetta idiota. Inoltre la giacca del tailleur le tirava, sulle braccia, e quindi si sentiva anche scomoda, oltre che tesa e molto poco a suo agio.

Finalmente sentì il suo nome e fu chiamata nell’ufficio del capo delle risorse umane. Era un uomo. Fantastico, qualsiasi barlume di speranza era andato definitivamente perso. – “Buongiorno” Balbettò Anna, ma il suo tono di voce non era nè fermo, nè alto, nè sicuro. Strinse la mano al tizio, un bel tizio, per essere precisi. Un bellissimo esemplare di uomo sui trentacinque anni, giacca e cravatta, sguardo fiero e sicuro, occhi neri e decisi. Il classico manager importante, le incuteva non poco timore. -“Si accomodi.” Le ordinò. Anna si piegò per prendere posto sulla sedia posta dinanzi alla scrivania e, proprio nel momento in cui i suoi abbondanti glutei toccarono la morbida imbottitura della sedia, sentì nettamente e distintamente (e potè giurare che lo sentì anche il bellissimo manager delle risorse umane) uno strappo. La gonna! Pensò, d’istinto, e la sua mente cominciò a vorticare, frenetica: cavoli, la gonna era troppo stretta, lo sapevo. Cavoli. E adesso? E adesso? Lui se ne è accorto? Mi guarda in modo strano… Perchè mi guarda così? Come farò ad alzarmi da questa sedia? Speriamo che il danno non sia troppo evidente… Oh, cavoli!

-“Signorina Tessi? Signorina Tessi?” Si riprese dal terrore, solo per accorgersi che il tizio la stava richiamando, probabilmente da molto, a giudicare dalla sua faccia perplessa. -“Signorina, va tutto bene? E’ diventata bianca e non ha risposto alla mia domanda” Disse l’uomo. Anna cercò di rilassarsi, di non pensare allo strappo. Sorrise.

-“Va tutto bene, mi scusi. E’ solo che qui dentro c’è stato uno sbalzo d’aria per me, sono molto sensibile agli sbalzi di temperatura, mi è girata un pò la testa. Le chiedo ancora scusa. Possiamo procedere.” Disse, tentando di giustificarsi.

-“Bene” Disse quindi lui, con aria diffidente. “Le avevo chiesto di parlarmi un pò delle sue precedenti esperienze lavorative” Aggiunse, riprendendo il filo del colloquio.

Anna rispose a tutte le sue domande cercando di mostrarsi sicura e competente. Sorrise disinvolta come se il momento di alzarsi dalla sedia non dovesse mai arrivare, parlò dei suoi brillanti risultati accademici e di come, anche durante gli studi, avesse sempre lavorato e si fosse data da fare per accumulare esperienza. Ma quel momento arrivò. Arrivò quando il giovane uomo le strinse la mano, ringraziandola, e promettendole notizie future in merito al posto di lavoro. Anna ricambiò la stretta e si alzò in piedi. Fino a che fosse rimasta con le spalle rivolte verso la porta, lui non avrebbe potuto vedere lo strappo. Mentre gli stringeva la mano, tastò l’entità del danno con l’altra. Pareva proprio un brutto squarcio, in verticale, sulla cucitura, lungo circa cinque centimetri. La gonna era nera e sotto Anna portava un paio di collant color carne. Sarebbe stato impossibile non accorgersi dello strappo. Mentre salutava il manager e tastava la gonna, le vennero le lacrime agli occhi. Non aveva idea di come sarebbe uscita da quella situazione, se non attraverso un’umiliazione totale. Di sicuro, quel posto non sarebbe mai stato suo.

Anna fece l’ultimo sorriso, poi si costrinse a lasciargli la mano e a voltarsi, per andare via, umiliata. Prese la borsa che aveva portato con sè e la parò davanti allo strappo, camminando incerta verso l’uscita.

-“Signorina Tessi?” Si sentì chiamare dal bel manager ad un passo dalla porta. Gelò, terrorizzata. Cavoli! Cosa vuole ancora da me? Il posto non sarà mai mio, l’ho capito, non sono mica scema! Che vuole ancora, sto tipo? Pensò, prima di voltarsi, fingendosi disinvolta.

-“Prenda questa” Disse lui, porgendole una cartellina azzurra. Anna rimase interdetta, sempre con la borsa appiccicata al suo sedere.

-“Di che si tratta? E’ una brochure dell’azienda, o…” Chiese, ma non fece in tempo a terminare la frase che lui indicò la sua gonna.

-“Beh…” Cominciò il bel manager delle risorse umane “La borsa non basta. Se poi è venuta in metropolitana, forse è meglio che prenda questa, o le rideranno tutti dietro, o peggio: verrà importunata. La prego, la prenda. La cartellina dovrebbe bastare a coprire il… tutto.” Concluse con un’aria ferma ma leggermente imbarazzata.

Anna avrebbe desiderato morire in quel momento: liquefarsi lì, in quell’ufficio, e scomparire per sempre. O meglio ancora: avrebbe voluto che la terra si aprisse e la inghiottisse senza pietà. Prese la cartellina azzurra senza dire nemmeno una parola. Aveva voglia di piangere. Era uscita di casa per un colloquio, si era preparata, aveva messo i migliori abiti, aveva curato il dettaglio, aveva fatto un pò di training autogeno in silenzio, in metro… e adesso andava via con le lacrime agli occhi. Aprì la porta e sparì, velocemente. Non disse un grazie e nemmeno un arrivederci al tizio che le aveva fatto il colloquio e che l’aveva umiliata. Sul treno, diretta al suo appartamento, ripensò alle sue parole: “dovrebbe bastare a coprire il… tutto“. Cosa aveva voluto insinuare? Voleva forse dire che la borsetta non bastava a coprirle il culone che si ritrovava? Che odio! Ma soprattutto, che tristezza. Si sentiva così fragile e insicura, dopo quello che era successo.

Aprì la porta del suo appartamento e si ritrovò davanti Alessandro, il suo compagno.

-“Ops. Stavo uscendo. Ciao amore!” La salutò con un bacio “Come è andato il colloquio?” Le chiese. Anna lo fulminò con lo sguardo.

-“Una merda!” Rispose, acida. “Guarda!” Si voltò, per fargli vedere lo strappo. Lui si mise a ridere.

-“Come è successo?” Le domandò.

-“Mi sono seduta! Mi sono semplicemente seduta! Questa gonna mi va stretta. E non ridere!” Urlò lei, isterica. Lui la portò dentro casa e chiuse per un momento la porta d’ingresso. L’abbracciò.

-“Amore mio, tranquilla. Domani andiamo a comprare una gonna nuova, che problema c’è? Forza, il prossimo colloquio andrà meglio, tesoro mio.” Cercò di tranquillizzarla. Lei lo squadrò da capo a piedi.

-“Dove stai andando?” Gli chiese.

-“Al lavoro. Oggi ho il turno serale, non ricordi? E, a proposito, devo proprio andare.” Rispose Alessandro, sorridendole. -“Ah, dimenticavo: in cucina c’è Rossana. Era un pò in anticipo e l’ho fatta entrare, le ho offerto un caffè, ma lei ha voluto il prosecco… Comunque, ti sta aspettando di là” La avvertì. Rossana era una delle migliori amiche di Anna. Portavano all’incirca la stessa taglia e amavano le stesse cose. Erano sulla stessa lunghezza d’onda, ma soprattutto, il loro pezzo forte, erano le serate tra donne a base di alcool, film romantici e manicure. Proprio quello che avevano in programma per quella sera, dato che Alessandro aveva il turno serale.

-“Oh cacchio, Ros! Me ne ero completamente dimenticata! Non ho preso il vino!” Urlò Anna. Ale le fece un occhiolino.

-“Non preoccuparti, credo che ci abbia pensato lei. E’ venuta con tre bottiglie! Ma cosa fate quando non ci sono?”

-“Niente amore, niente. Non ti preoccupare, corri al lavoro. Ti amo. Ci vediamo più tardi.”

I due si salutarono, e Anna si incamminò in cucina, verso la sua cara amica Ros che l’aspettava, già brilla.

– “Ros, credo di essere ubriaca…” Mugolò Anna in direzione dell’amica, circa un’ora dopo l’uscita di Alessandro.

– “Era proprio quello che ti ci voleva, cara, dopo la giornata che hai avuto. Avresti dovuto andarci in jeans al colloquio, lo sai che lo stile informale è tornato di moda, no?!

Rossana era la migliore amica di Anna ed era una pazza scatenata: capelli rosso fuoco, cortissimi, una personalità vulcanica e, nonostante i chili di troppo, una grande sicurezza e un uomo a sera. Anna l’aveva sempre stimata, un pò invidiava la sua sicurezza e si chiedeva perchè mai lei stessa non ne fosse dotata.

– “Tu non hai idea di come mi ha guardata! Non hai idea di come mi sono sentita! Quel suo sguardo così commiserevole e l’enorme strappo sulla mia gonna… Oddio! E poi alla fermata della metro un tizio mi ha urlato dietro “ti è esplosa la gonna?” . Oh, santo cielo, che odio!” Urlò la ragazza. Ros le riempì il bicchiere.

– “Anna, diciamoci la verità: hai un ragazzo stupendo che ti adora, sei intelligente, sei laureata con il massimo dei voti… Non ti manca nulla! E’ stata solo una giornata storta, non prendertela troppo.

Anna si fece seria.

– “Io lo desideravo, quel lavoro. Ne avevo bisogno. Dalla laurea, è Ale che mi mantiene ed io non posso permetterlo ancora. Ho bisogno di trovare un buon impiego, ma non voglio finire per accontentarmi e andare a lavorare in un call center.

Lo so, cara. Ma era solo il tuo primo colloquio. Vedrai che la prossima volta andrà meglio

Anna sbuffò. Era facile parlare per Ros, lei era una piccola imprenditrice, aveva un’aziendina tutta sua con un’unica dipendente: se stessa. Andava a casa delle casalinghe annoiate, su appuntamento, a vendere sex toys e teneva presentazioni in merito agli ultimi ritrovati nel campo della stimolazione del piacere. Anna arrossiva ogni volta che l’amica gliene parlava. Inoltre, la ragazza non era sicura che sarebbe riuscita ad ottenere un altro colloquio tanto presto e non aveva idea di come uscire da quella situazione.

Guardarono un film con Johnny Depp e scolarono tutto il vino rimasto.

Il giorno dopo Anna si svegliò con un mal di testa incredibile e tanta voglia di piangere.

Non poteva sapere che quella sarebbe stata la giornata che le avrebbe cambiato per sempre la vita.

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